“Donne e Web, violenza di genere ed educazione ai sentimenti” è un libro che affronta il tema della violenza in maniera approfondita e con un ampio riferimento normativo. Un manuale pensato per una divulgazione più che ampia con un linguaggio facilmente comprensibile e scorrevole

Una parte importante delle nostre giornate è scandita dall’uso dei social. La rete può essere un mondo accogliente, aggregativo e positivo, ma pur sempre un mondo virtuale, lontano dalla routine quotidiana e dalle relazioni umane. La rete è anche quel luogo in cui spesso ci si scontra con un linguaggio sessista, di odio e che cela minacce più o meno velate. Si parla sempre più spesso di grooming, sexting, body shaming tutti comportamenti che procurano nelle vittime paure e angosce, enfatizzate da commenti poco piacevoli e anche moralmente discutibili. Per non parlare di un fenomeno in vistosa crescita ovvero il bullismo in rosa, un attacco da donna a donna, che a volte sfocia anche nella violenza fisica.

“Donne e Web, violenza di genere ed educazione ai sentimenti” scritto a quattro mani dall’avvocato e criminologa Claudia Ambrosio e dal professore Luigi Macrì, affronta il tema della violenza in tutte le sue forme, in particolare quelle più subdole che si insinuano nella vita delle donne e che scorrono sul web.

Dottoressa Ambrosio, vorrei partire proprio dal suo ultimo lavoro ‘Donne e Web’ scritto a quattro mani con Luigi Macrì. Come nasce questo libro?
Nello scrivere questo libro siamo partiti da alcune domande chiave: perché il web e, soprattutto, perché la rete è un posto pericoloso per le donne? La risposta che ci siamo dati è che internet, in generale, appare un luogo poco sicuro e incerto poiché il fatto di trattenersi dietro a un monitor rende tutto meno empatico. Questo è un aspetto comune a tutti i pericoli del web come la mancanza di sicurezza, spersonalizzazione e deresponsabilizzazione. Qualunque comportamento perpetrato sulla rete risulta essere molto più lesivo e pericoloso di qualsiasi altro comportamento commesso nella vita reale, come diremmo oggi ‘off line’.

Perché il web è più pericoloso per le donne?
Perché nel caso delle donne abbiamo una serie di ripercussioni a livello sociale, morale e metagiuridico invalidante. Quando la donna è vittima di questi pericoli oltre al danno subisce anche la beffa. Non solo è vittima di fenomeni odiosi come il sexting o il porn revenge, la sex extortion o cyberbullismo, in alcuni casi al problema tecnico si associa anche una responsabilizzazione della vittima a opera della società. Non ci rendiamo conto che la donna rischia di subire vittimizzazione secondaria anche e soprattutto nel web. Inoltre, scrivendo questo libro, volevamo sfatare un altro mito, ovvero che i fenomeni online fossero meno gravi dei fenomeni offline. Tutto ciò che non si vede ed è virtuale fa male e miete delle vittime e quindi grazie a questa evoluzione sociale, giurisprudenziale e solo dopo legislativa abbiamo avuto il riconoscimento del fatto che il web è un luogo molto più pericoloso del mondo reale.

La vittima perfetta e la colpevolizzazione della società. Perché si parla sempre più di victim blaming?
Il problema per la donna è proprio questo. Un recentissimo caso di cronaca ha riportato una sanzione disciplinare a cui è andata incontro una maestra di Torino, la quale era stata vittima di porn revenge. Questo ci da proprio il senso di come la donna oltre ad essere vittima vede violata la propria privacy e va spesso incontro a un giudizio morale. Anche il comminare sanzioni disciplinari perché quel comportamento non è deputato come corretto in base al ruolo pedagogico- educativo che una insegnante è chiamata a svolgere. Perché? Questa è la domanda che dobbiamo porci. Perché deve esistere una doppia morale? Perché il porn revenge può valere solo per la donna e non per l’uomo? È la morale che ce lo dice. Perché un uomo è molto più difficile che cada vittima del porn revenge. Un video spinto che può riguardare un uomo non lo distrugge dal punto di vista morale o della condotta, al massimo può solleticare l’attenzione e un certo immaginario erotico. Ma nel caso della donna è diverso, ancora oggi viene stigmatizzata. La normativa può tutelare, ma fino a un certo punto, intervenire sulla cultura, chi è la vittima e chi il carnefice. Colpevolizzare chi ha girato e diffuso quel video sessualmente esplicito, senza consenso dell’altra persona.

Quando parliamo di queste forme di violenza, dobbiamo anche includere gli adolescenti e la scoperta di questo orizzonte digitale. Conoscenza che a volte non è accompagnata da un adulto che possa metterlo in guardia dai pericoli nascosti del web. Cosa fare in questi casi?
Ho riscontrato una duplice amarezza. È vero che i ragazzi, spesso e volentieri non hanno una linea guida sui social, per quanto loro siano bravissimi a nuotare nel mondo virtuale, non a caso vengono definiti ‘nativi digitali’ come abbiamo spiegato anche nel libro. Nascono con una attitudine ai social, che oggi hanno preso il posto delle piattaforme fisiche degli anni ottanta: palestre, scuole e piazze. Per loro è naturale manifestare una socialità all’interno di questi mondi virtuali. Ecco perché questo porta a una soglia di abbassamento dell’attenzione, di sicurezza. Allo stesso tempo poi, cala il livello di responsabilizzazione, come se scemasse la differenza tra vita reale e vita sociale, una dimensione lontana dal tuo “vero te” dove puoi fare quello che vuoi perché quando spegni il pc è tutto finito. Nulla di più falso. Ecco perché per anni si è sottovalutato il cyberbullismo a differenza del bullismo, pensando erroneamente che la dimensione goliardica dei social fosse un qualcosa di normale. Anche gli adulti in questi casi hanno una responsabilità e spesso non hanno idea dei fenomeni di cui parliamo. Anche loro come i ragazzi, dovrebbero essere responsabilizzati su alcuni temi, spesse volte sono i genitori stessi che non hanno dato ai loro figli il buon esempio dando vita ad atteggiamenti offensivi via chat, esibizionismo e tanto altro. Molte cose fatte con leggerezza sono pericolose e non di buon esempio. Con questo testo, riteniamo di voler rendere tutti consapevoli dell’uso del web. Insieme genitori e figli.

Lei si occupa da anni di formazione e di prevenzione nell’ambito del tema della violenza di genere. Quale fenomeno ha attirato di più la sua attenzione?
Sicuramente il body shaming. Prima lei ha centrato un concetto molto importante, che spesso sono proprio le donne a scagliarsi contro le altre donne. Questo avviene nel body shaming dove le donne, che sembrano programmate fin dalla nascita a una perfezione quasi non autentica, ancora di più stigmatizzano questo stereotipo sul web dove non viene perdonato nulla. Complici anche i filtri immagine, e tanto altro, dobbiamo dare l’idea di essere perfette, ma così non è. Questa non è una dimensione reale. Nel libro, infatti, parlo del mito di Narciso, questa perfezione che condanna l’uomo a un amore sbagliato nei confronti di sé stesso perché non si accetta, l’imperfezione che non vuole vedere, ma nascondere a tutti i costi affidandosi a canoni di bellezza non autentici. Valorizzare l’imperfezione come virtù aggiunta dell’uomo. Nello stesso capitolo cito anche l’esempio di come gli Dei, che avevano l’eterna giovinezza, bellezza ed erano immortali, invidiavano l’uomo proprio per l’imperfezione, la vecchiaia e la malattia. Questo faceva sì che l’uomo potesse godere ogni giorno della sua esistenza.